I segreti dei marchi di lusso per farsi seguire su Instagram

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Quali sono i segreti dei marchi di lusso per farsi seguire su Instagram? Chi è riuscito a posizionarsi nell’immaginario globale e a rimanerci per molti anni, ha molto da insegnare. Nulla però che si possa apprendere in un corso, o un webinar, piuttosto on the job come nel caso di Silvia Saliti, marketing expert che ha lasciato traccia in numerosi marchi mondiali: Ferrari, Alfa Romeo, Lamborghini, Bentley, Piaggio, Gilera… e che oggi si occupa anche della promozione di atleti di alto livello con Jump.
Oggi approfondiamo insieme come farsi seguire su Instagram.

L’ABC del follow su Instagram: la strategia marketing

Prima di ‘atterrare’ sull’argomento Instagram e sui segreti dei marchi di lusso per farsi seguire, facciamo un ripasso dell’ABC alla radice della strategia social aziendale: il marketing.

La parola a Silvia Saliti, marketing expert: “Ho sempre visto il marketing come mezzo per comprendere le necessità dei clienti, capire cosa le persone si aspettano e qual è il modo migliore per deliberare un messaggio” dice Saliti, formata all’interno di grandi marchi e al fianco di massimi esperti, come in Alfa Romeo nel team di Luca De Meo, guru del marketing dell’automotive: “De Meo ci diceva sempre ‘Dovete pensare in modo laterale, sviluppare la capacità di girare il punto di vista. Prima i bisogni dei clienti: è necessario mettersi nei panni dell’altro, capire che il vostro punto di vista non è l’unico’. Il marketing è olistico in qualche modo, è la sintesi di molti punti di vista”.

L’obbiettivo è raccontare una storia

Qual è l’obbiettivo del marketing? “Non si tratta di promuovere dei marchi, bensì di raccontare una storia. La promozione? Preferisco intenderla come la comunicazione di un marchio. È importante scegliere le parole giuste quando si parla di certe attività: oggi si è persa la profondità e si è persa la consapevolezza dell’uso delle parole a livello lessicale, linguistico e di comunicazione. Questo rischia di essere un grosso buco per le generazioni future”.

Cosa ha causato la perdita di profondità

Cosa ha causato questa perdita di profondità? “La digitalizzazione. Perché la digitalizzazione semplifica, parla per slang, parla per trend. Non suggerisco di tornare all’Accademia della Crusca, ma bisognerebbe pensare di più prima di scrivere o comunicare. E io sono stata educata da Luca De Meo al less is more. Eppure questo non vuol dire essere meno profondi. Il mio mestiere è il più affascinante del mondo, perché si tratta di raccontare delle storie. E per farlo devi avere un background tutt’altro che semplicistico”.

Gli hook narrativi

“Una cultura che spazia dalla storia alla poesia ti permette di avere dei ganci narrativi, dei hook come si dice in termine tecnico, che poi ti fanno sviluppare una storia. Poi la storia può essere più facile o più difficile, perché se hai un marchio come Ferrari, la storia è facilissima, ma è difficile tenerla alta ed è facile sbagliare”.

Lusso e sport

Silvia Saliti, seguendo anche un altro settore dal grande potenziale simbolico come lo sport, ci offre un’ulteriore chiave di lettura: “I campioni sono come delle macchine di lusso, un prodotto di lusso. Non sono persone comuni, hanno delle peculiarità. Quando devi lanciare uno specifico atleta o comunque comunicare che ha la potenzialità di diventare un marchio, devi fare una strategia di posizionamento, comunicare i suoi valori: non puoi ad esempio scegliere degli sponsor in contrasto con il valore dell’atleta stesso. Eppure questo succede spesso quando le scelte sono guidate da logiche puramente economiche. Si vedono dei casi ‘arlecchino’ dove l’atleta ha 70 brand. Anche in questo caso less is more, meglio pochi sponsor, massimo tre”.

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Su Instagram meglio quantità o qualità?

Arriviamo ora al focus della nostra intervista: Instagram. Meglio quantità o qualità per far crescere i follower di un brand su Instagram? “Entrambi, partendo dal presupposto non scontato che alle spalle ci deve essere un prodotto fisico di valore materiale e valoriale. Senza coerenza non c’è strategia che tenga. Oggi la comunicazione è principalmente visual e la prima impressione è quella che conta, ecco perché Instagram è oggi il social principe a livello internazionale, il modo per raggiungere il consumatore più importante per un’azienda, insieme a Tik Tok”.

Cosa curare su Instagram perché sia efficace

“Il trattamento fotografico e il trattamento video. La cosa importante, che può essere percepita come paradossale, è che quanto più si va nel lusso, quanto più bisogna essere spontanei, perché si ha a che fare con un target estremamente raffinato, come capitani d’industria e CEO, che sanno perfettamente di cosa si sta parlando. L’autenticità è molto importante per un brand di lusso, è la chiave. Chi lavora a un certo livello si dà per scontato abbia anche un background culturale di un certo tipo, quindi abbia strumenti di giudizio differenti”.

5 cosa da fare per far crescere una pagina Instagram

L’esperienza di Saliti è tale che di spunti su come far crescere una pagina Instagram di un brand di alto livello ce ne offre a volontà durante la nostra intervista. Spunti universali per chiunque voglia fare un lavoro di comunicazione e marketing a tutti i livelli e che qui vi riportiamo per punti:

  • essere interessante: raccontare storie che creano engagement
  • mai essere banali
  • postare 3.500 cose non vuol dire avere successo su Instagram
  • pubblicare con una frequenza cadenzata solo se si ha qualcosa da dire
  • essere coerenti

4 cose da NON fare per far crescere una pagina Instagram

  • parlare a sproposito
  • dire banalità
  • essere coinvolti in questioni politiche: bisogna essere abbastanza neutrali su Instagram
  • rimanere aderenti alla realtà

Gli influencer funzionano?

Impossibile non toccare il tema degli influencer, spesso ingaggiati dalle aziende per ottenere una rapida e capillare visibilità social. Ma quanto sono efficaci gli influencer?

“Sicuramente canali di influencer che pubblicizzano 10 cose nel giro di 10 post risultano poco credibili. Un’azienda del lusso è difficile abbia un influencer che parla per lei. Le aziende del lusso si avvalgono di testimonial, brand ambassador. Anche se marchi come Lamborghini e Ferrari non hanno nemmeno dei brand ambassador perché il loro marchio va al di là della persona. Poi ci sono casi come Cartier e Bulgari che hanno un ambassador”.

Influencer e ambassador sono due cose diverse

“Influencer e ambassador sono due cose completamente diverse: l’ambassador incarna il valore del marchio, indossa il marchio, testimonia il marchio. L’influencer fa un’altro lavoro: mette sulla strada del consumatore delle opportunità. Anche se secondo me questi ultimi avranno vita breve perché sono figli della liquidità (nel senso inteso dal sociologo Zigmunt Baumann ndr), non hanno delle regole da rispettare e i messaggi che mandano risultano distonici. Quanto l’influencer veramente sposa la causa che sta promuovendo? Se lavora per 100 prodotti è difficile sostenere che tutti e 100 lo rappresentano. Quindi dov’è la linea di confine?

Quando vedi un volto in 10 pubblicità diverse ti fai due domande. Come professionista non sposo questo tipo di impostazione. Ciò che davvero conta è essere coerenti”.

In conclusione

Coerenza e qualità dovrebbero essere la base di qualsiasi comunicazione, ma sappiamo che non è così. Ecco che allora monitorare la reputazione di un potenziale influencer o ambassador può risparmiare imbarazzi e danni d’immagine a un’azienda. Servizi come il monitoraggio dei media del L’Eco della Stampa in questo caso risultano indispensabili.

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Silvia Saliti – marketing expert e Laureata in Economia Aziendale, a sei anni sapeva già che avrebbe fatto il direttore marketing nell’automotive. Colpa di una “folgorazione sulla via per Damasco”: “Il cugino di mio padre era segretario CSAI – Commissione Sportiva Automobilistica Italiana, e la prima volta che sono andata a Roma a trovarlo avevo sei anni. Mi ha fatto scoprire Roma by night su una BMW cabriolet assettata da rally. Siamo entrati in tutte le zone a traffico limitato, assaporando il suono del motore e il vento: sono rimasta suggestionata dal mondo dell’auto, dalla velocità, dalla sensazione di libertà”.

Una naturale passione

Una passione spontanea, una formazione costante e oculata: “Sono stata nove anni in Piaggio, di cui quattro a Londra, poi ho fatto la brand manager per Gilera, dopodiché sono andata in Alfa Romeo aggiungendo finalmente due ruote”. Con Jump, di cui è co-fondatrice insieme a Gianni e Larissa Iapichino, si occupa di atleti a 360° (competizioni, ingaggi, reputazione, posizionamento…):

“In Jump applico gli stessi criteri del lusso allo sport: l’atleta di alto livello ha bisogno del one to one, della customizzazione del servizio, e il marketing alla fine è questo: far sentire unica la proposizione di cui si sta parlando”.

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