Il nuovo patto impresa-natura: Aboca, esempio virtuoso

aboca massimo mercati

L’Italia riparte dal green. Se le città si stanno attrezzando di biciclette e mezzi di trasporto elettrici, le aziende riaprono con maggiore consapevolezza. L’esperienza Coronavirus ha insegnato che l’ambiente va rispettato, non è un caso che le aree più colpite dall’epidemia siano state quelle più inquinate.

Tra le imprese che hanno sempre creduto nella sostenibilità ambientale, c’è Aboca, fondata nel 1978 nella campagna aretina e oggi leader nell’innovazione di prodotti terapeutici a base di complessi molecolari naturali. Abbiamo incontrato il suo amministratore delegato, Massimo Mercati, classe 1971, che ha un’idea ben precisa di cosa significhi innovazione. Nel 2000 Mercati ha dato vita al progetto Apoteca Natura, il primo network di farmacie in Italia, Spagna e Portogallo specializzate nell’ascoltare e guidare attivamente le persone attraverso un percorso di salute responsabile.

Massimo Mercati, CEO di Aboca

In che modo l’economia può ripartire nel modo giusto, post-pandemia?

“La pandemia ha mostrato la crisi e l’insostenibilità della vecchia economia e ci lascia due insegnamenti: il primo è che tutte le forme del vivente sono interconnesse, che l’uomo non è «padrone della natura», ma ne è parte. Questo è un concetto fondamentale, dobbiamo averlo presente quando parliamo di sostenibilità. L’altro aspetto che il Covid-19 ha messo in risalto è che non può esistere bene individuale senza bene comune. Questi temi sono centrali per Aboca, crediamo debbano essere sempre più interiorizzati e condivisi.

L’Europa ha confermato di voler procedere sulla strada del Green New Deal, è un’occasione importante per il nostro tempo. Ma destinare risorse a investimenti «più sostenibili» non è sufficiente, serve un radicale cambio di paradigma: non abbiamo bisogno di aziende che limitino soltanto le esternalità negative, ma di imprese veramente rigenerative, che abbiano un impatto positivo a livello socio-ambientale. Da questo punto di vista la forma giuridica della Società Benefit, introdotta in Italia nel 2016 e adottata da Aboca nel 2018, è una risorsa importante: le aziende che scelgono questa forma inscrivono nel proprio statuto il loro impegno per il Bene Comune, così che sostenibilità, equità e impegno sociale siano la regola, al pari della ricerca del profitto economico, e non attività occasionali”.

L’impresa come sistema vivente (Aboca, 2020) è il Suo ultimo libro. Che cosa intende con questa espressione?

“Nel mio libro, proprio a partire dal lavoro in Aboca – che è quello di ricercare in natura soluzioni per la salute dell’uomo – cerco di tracciare un collegamento tra l’intelligenza naturale, le regole che governano i sistemi viventi e la complessità dell’organizzazione aziendale. Lo studio e il lavoro in Aboca ci hanno mostrato che dal confronto tra reti sociali e reti biologiche si possono trarre spunti preziosi per gestire concretamente un’impresa.

Suggerisco di adottare una «visione sistemica», traendo spunto dagli insegnamenti del fisico e teorico dei sistemi Fritjof Capra e, al contempo, propongo una diversa concezione di azienda, intesa come «comunità tra le comunità», attingendo ai valori e ai principi dell’economia civile. Questi elementi, insieme con molti altri, ci fanno comprendere che in economia, come in natura, non vince il più forte, ma il più adatto. Nel mondo che verrà il successo economico non potrà prescindere dalla reale capacità di comprendere la complessità del contesto in cui ci muoviamo, adottando nuovi schemi di pensiero ed una nuova contabilità del valore”.

Il Suo lavoro in Aboca come amministratore delegato. Qual è la Sua mission? Cosa è cambiato nell’ultimo decennio?

“Come amministratore delegato e anche come imprenditore, il mio primo ruolo è tenere ferma la barra del significato di quello che facciamo: trovare in natura le risposte ai bisogni di salute dell’uomo nel rispetto dell’organismo e dell’ambiente. Per farlo ci siamo sempre trovati costretti ad innovare e in un mondo dominato dall’artificiale abbiamo percorso una lunga strada nella convinzione che la soluzione non fosse rifugiarsi nella nicchia, ma continuare a ricercare restando aperti al mondo della scienza in un confronto continuo. Ciò ci ha consentito di affinare il nostro approccio e, negli ultimi dieci anni, l’impressionante sviluppo della biologia molecolare e della bioinformatica ha permesso di vedere strade nuove, che vanno oltre la farmacologia tradizionale e che consentono di lavorare su sistemi molecolari complessi come quelli derivanti dalle piante. Credo che la grande evoluzione scientifica, unita alla maturazione di un nuovo pensiero filosofico che va da Capra a Edgar Morin, possano oggi essere utili per costruire una nuova base di pensiero ed entrare finalmente in un nuova modernità”.

Quanto sono digital le aziende italiane rispetto a quelle europee?

“I dati diffusi dalla Commissione Europea mostrano chiaramente come l’Italia possa e debba fare di più, ma sono davvero molti i parametri da tenere in considerazione, non ultimo il fatto che le aziende italiane al 90% sono piccole e medie imprese. «Quantificare» la digitalizzazione non è semplice, anche perché è un processo costante e in divenire. La nostra azienda nel tempo ha fatto investimenti strategici su questo fronte. È un percorso che non si arresta e che coinvolge ogni sfera del nostro operato, dall’impiego di software e hardware che ci permettono di essere all’avanguardia nei nostri stabilimenti produttivi, passando per le avanzate tecnologie digitali utilizzate in bioinformatica, fino all’applicazione di avanzati algoritmi a supporto della programmazione delle nostre attività agricole. Infine, i nostri uffici, già da tempo, hanno la possibilità di lavorare in smart-working: la pandemia, da questo punto di vista, ci ha trovati preparati e ci ha portati semplicemente a potenziare uno strumento a cui eravamo già abituati”.

Dopo A seminar la buona pianta, Aboca tornerà a Milano ad inizio autunno con Aboca Live in BAM, un’iniziativa dedicata alla sostenibilità. Quanto c’è ancora bisogno di un’educazione al rispetto dell’ambiente?

“Il bisogno di educazione non viene mai meno, non solo perché le emergenze ambientali impongono una costante attenzione, ma perché oggi che una coscienza ecologica ha iniziato a diffondersi in modo sempre più evidente, è arrivato il momento per riflettere ancora più approfonditamente. Cosa intendiamo oggi con sostenibilità? Un pamphlet del filosofo Timothy Morton, pubblicato dalla nostra casa editrice, Aboca Edizioni, si intitola proprio Cosa sosteniamo? Dobbiamo senz’altro continuare a diffondere buone pratiche, a sensibilizzare le giovani – e soprattutto le meno giovani – generazioni. Allo stesso tempo, dobbiamo imparare ad allargare lo sguardo, a pensare l’ecologia in termine di relazione profonda, che riguarda ogni aspetto del nostro agire e della nostra vita”.

Aboca Live in BAM

Il Coronavirus ci ha riportato indietro: guanti e materiali monouso inquinano tantissimo. Riusciremo mai a fare a meno della plastica?

“Quando fu inventata più di cento anni fa, la plastica fu presentata al mondo come il materiale delle meraviglie. E, in effetti, negli anni ha risolto moltissimi problemi. Ora, però, ce ne sta ponendo uno del tutto nuovo: il suo smaltimento. È un processo che Martin Dorey, autore di Basta plastica ha affrontato in un libro che abbiamo pubblicato lo scorso anno. Sicuramente dobbiamo pensare su imballaggi più sostenibili, bioplastiche e materiali che possano essere riciclati.

Come Aboca abbiamo eliminato «quasi» del tutto la plastica dai packaging dei nostri prodotti, da tempo stiamo lavorando sulla strada del plastic-free. Nei nostri stabilimenti oltre l’85% dei rifiuti sono avviati a recupero, la carta dei nostri uffici è certificata FSC… Ma stiamo cercando anche di invitare le persone ad allargare la prospettiva e inquadrare il problema dell’inquinamento da un punto di vista meno superficiale. Perché prestiamo sempre attenzione al contenitore e quasi mai al contenuto? Siamo giustamente indignati per una bottiglietta di plastica usa e getta, ma pensiamo mai a quel che c’è dentro? Quando diciamo che i nostri prodotti sono 100% naturali diciamo esattamente questo, che tutto ciò che li compone non danneggia e non altera il ciclo del vivente. Non vi sono sostanze di sintesi o di emisintesi, non vi sono conservanti. Significa che una volta rientrati in natura, i prodotti si biodegradano integralmente, senza danneggiare in alcun modo l’ambiente e senza creare i fenomeni di bioaccumulo negli uomini e negli animali che rischiano realmente di mettere a rischio la vita sul pianeta”.

Da più parti, come dall’architetto Stefano Boeri, si prevedono la fuga dalla città e un ritorno alla campagna. E’ realistico pensare che i giovani possano ripopolare i borghi abbandonati e aprire imprese green?

“La proposta di Boeri è ricca di fascino, non a caso il tema ha creato un grande dibattito. Sul nostro Live Magazine il fisico e teorico dei sistemi Frijof Capra, assieme ad Hazel Handerson, ha scritto un racconto «utopico» in cui, nell’immaginare il pianeta post-Covid nel 2050, descrive proprio l’abbandono delle grandi città e comunità aggregate in piccoli centri…

Come Aboca ci stiamo impegnando per favorire uno sviluppo di questo tipo a Sansepolcro, con l’Associazione Progetto Valtiberina promuoviamo ogni anno progetti di valorizzazione del territorio e momenti di incontro, tra i quali in particolare il Festival dei cammini di Francesco, in cui cerchiamo di lavorare per creare una comunità fatta di condivisione di valore.

Per quanto riguarda le aziende, definire «green» un’impresa non è semplice, sono frequenti i casi di «green-washing» o di realtà produttive che assumono comportamenti etici a seconda delle opportunità. Se le imprese veramente generano risorse anziché consumarle, allora sarà possibile immaginare anche un nuovo modo di vivere i territori. Un altro aspetto da sottolineare è proprio quello della digitalizzazione: questi mesi di lavoro da casa ci hanno mostrato che è possibile ridurre gli spostamenti, svolgere da casa riunioni che un tempo ci richiedevano lunghe trasferte, spesso nelle grandi città. Essere a Milano o in campagna, se si è dotati di una buona connessione, non fa più grande differenza. Magari questo potrà significare per molti la possibilità di tornare a vivere fuori dalle città senza perdere opportunità di lavoro”.

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