Come il nostro cervello elabora i loghi dei brand?

Guardando i loghi dei nostri brand preferiti usiamo la stessa area di cervello che si attiva quando incontriamo i nostri amici. Il riconoscimento dei loghi aziendali è un processo complesso perché frutto di associazioni che vanno oltre il semplice collegamento con un brand o con un prodotto.

 

I brand come gli esseri umani

Così i brand che ci piacciono attivano delle risposte nelle stesse aree del cervello dove vengono elaborati i rapporti umani. A seconda delle pregresse esperienze con un brand, il consumatore elabora i loghi in maniera diversa, associandolo a sensazioni positive o negative. Il logo assume una grande rilevanza perché viene riconosciuto da noi come il ” volto ” del tale marchio, la rappresentazione visiva di un’identità aziendale che deve materializzarsi per diventare riconoscibile ed essere ricordata dal pubblico.

Quando visualizziamo un logo, la prima cosa che viene percepita sono i colori e successivamente le forme. Una volta identificati separatamente, essi vengono poi riconosciuti simultaneamente creando una corrispondenza tra l’immagine visualizzata e quella immagazzinata precedentemente nella memoria.

L’immagine viene poi collegata ad alcuni elementi semantici, come il nome del brand, i relativi prodotti o servizi ed infine alle preferenze e ai bisogni del consumatore che possono essere in qualche modo ricondotti al marchio. Quello che può sembrare un processo lungo in realtà avviene in 400 millesimi di secondo.

Quasi 50% del cervello dell’essere umano è coinvolto nel processo di elaborazione visiva.

Per questo motivo la scelta del logo giusto (colore + forma)  può essere determinante per il successo di un brand, per il ricordo che genera e per l’impatto sul consumatore.

 

Come ci comportiamo verso i loghi più familiari?

Un altro elemento importante da considerare è la familiarità nei confronti del brand: abbiamo, infatti, ha la tendenza a collegare emozioni positive a marchi che ci piacciono e con cui abbiamo già avuto esperienza, mentre brand sconosciuti possono attivare parti del cervello associate ad emozioni negative. In un esperimento condotto dall’Università Tecnica di Lisbona è stato presentato ad un gruppo di persone un insieme di loghi, alcuni veri, altri fittizi. Attraverso la risonanza magnetica è stata monitorata la risposta del cervello ai differenti loghi e si è arrivati alla conclusione che quelli di marchi veri attivavano aree del cervello associate alla memoria e al significato, mentre i loghi di marchi fittizi no.

L’essere umano tende quindi a collegare i brand a differenti aspetti della propria identità personale; è come se essi avessero un impatto sulla costruzione identitaria: ” lo sono il tipo di persona che usa solo prodotti Apple ” oppure ” lo mi identifico con il brand Nike “. Esistono comunque tanti studi su questa tematica. Uno di questi, condotto recentemente dall’Università Leuphana di Luneburg, ha dimostrato che i marchi vengono percepiti attraverso gli stessi meccanismi psicologici che consentono il riconoscimento dei volti.

Sia nella percezione di volti che nel riconoscimento dei marchi l’individuo tiene conto di due dimensioni: il giudizio generale e la percezione di forza/potere. Si può affermare, quindi, che in entrambi casi, nel processo di elaborazione, il cervello si sofferma su due domande: il brand/volto mi ispira più o meno fiducia? Lo collego a forza/potere?

Sembra che i loghi da soli siano anche in grado di influire anche sul comportamento dei consumatori.

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