Social Media
È finita l’era del content marketing?
14 Ottobre 2025
Quello che fino a ieri, per modo di dire, facevamo in una mezza giornata di lavoro di scrittura e riscrittura, oggi si può fare in pochi secondi. E ora che l’intelligenza artificiale generativa è entrata nel flusso quotidiano di ricerca e produzione dei contenuti, la fine del content marketing è davvero vicina, oppure… è solo l’ennesima morte annunciata che poi non arriva mai?
Anni fa pareva che sarebbero morti i libri con l’arrivo degli ebook prima e dei podcast subito dopo, come pure i blog (che poi mica sono davvero spariti) e così la tv con YouTube. E che dire dei giornali che forse non stanno bene, ma resistono, magari cambiando?
Insomma, il punto è: con la GenAI cosa succederà davvero al marketing basato sui contenuti? E chi può saperlo! Per questo, come sempre, chiedo a chi ne sa più di me e ho pensato di parlarne con Laura Venturini, autrice di “Prompt Mindset spiegato facile. Nell’era dell’intelligenza artificiale il vero potere è l’arte di chiedere” (Flacowski), un libro che mette al centro non tanto la tecnologia, ma la nostra capacità di fare domande, perché nell’era dell’AI, il vero potere non è avere tutte le risposte, ma saper fare le domande giuste.
Ne è uscita una conversazione con risposte tecniche, ma molto chiare. Una guida utile per la propria strategia basata sui contenuti.
—
Molti dei contenuti che leggo in giro, quelli che probabilmente sono stati creati con l’aiuto dell’AI generativa, tendono a somigliarsi tra loro. O comunque sembra siano facilmente riconoscibili. È davvero così? E, se sì, quali sono le principali conseguenze di questa uniformità: un problema solo di stile (e di noia) oppure un limite anche per chi utilizza questi contenuti per comunicare e farsi trovare online?
«Sì, la tua percezione è assolutamente corretta e centra uno dei nodi più discussi dell’uso dell’AI generativa oggi. Molti contenuti creati con un approccio superficiale all’intelligenza artificiale tendono a essere generici, privi di una voce autentica e spesso ripetitivi.
Questo accade perché i modelli linguistici, per loro natura, sono addestrati su vastissimi dataset di testo esistente e tendono a generare risposte basate sui pattern più comuni e probabili. Il risultato è un contenuto “medio”, che suona plausibile ma manca di profondità, esperienza diretta e originalità».
In che misura l’AI può potenziare la creatività invece di appiattirla? E dal punto di vista SEO, quali problemi può comportare questo appiattimento? Possiamo dire che la tendenza a testi tutti un po’ simili, non riguarda poi solo il piacere di leggerli, ma impatta anche metriche cruciali come indicizzazione, posizionamento, engagement e perfino la fiducia che Google e gli utenti ripongono in un brand?
«Dal punto di vista della SEO, questo “appiattimento” è estremamente problematico per diverse ragioni.
Google ha aggiornato le sue linee guida per i quality rater introducendo il concetto di E-E-A-T: Experience (Esperienza), Expertise (Competenza), Authoritativeness (Autorevolezza), Trustworthiness (Affidabilità). Un contenuto generico e impersonale non riesce a dimostrare un’esperienza di prima mano sull’argomento. Google vuole premiare chi ha vissuto, testato, provato ciò di cui parla. L’AI, non avendo esperienze, non può creare questo valore da sola.
Se leggiamo le nuove linee guida, Google Search’s guidance about AI-generated content, Google chiarisce che non penalizza i contenuti AI in sé, ma premia i contenuti di alta qualità, indipendentemente da come sono prodotti.
Il problema è che l’AI usata male produce contenuti di bassa qualità.
Se tutti usano gli stessi strumenti, con gli stessi prompt di base, per rispondere alle stesse domande, il web si riempie di contenuti semanticamente identici, anche se formulati con parole diverse. I motori di ricerca sono sempre più abili nel riconoscere la ridondanza e potrebbero non indicizzare o dare pochissimo peso a pagine che non aggiungono nulla di nuovo alla conversazione esistente.
Contenuti piatti e senz’anima non catturano l’attenzione, non generano commenti, condivisioni o backlink. Questi segnali di engagement sono fondamentali per la SEO. Un utente che atterra su una pagina e non trova valore, torna immediatamente alla SERP (la pagina dei risultati di ricerca), inviando a Google un segnale negativo (alto pogo-sticking). L’appiattimento non è solo un problema di stile, ma un ostacolo strategico che mina le fondamenta stesse di una SEO moderna ed efficace.
Per evitare questa omogeneità occorre padroneggiare l’arte del prompting avanzato. Un contenuto creato con l’AI generativa può risultare distintivo se il prompt è estremamente dettagliato e arricchito di informazioni contestuali specifiche e proprietarie».
Come è cambiato il modo in cui le persone cercano contenuti online negli ultimi anni (o dovremmo dire mesi)?
Questa trasformazione riguarda, dal tuo punto di vista, non solo il come cerchiamo, ma anche il cosa ci aspettiamo di trovare. Oggi chi interroga diciamo genericamente Internet non cerca più solo informazioni grezze, ma risposte esaustive, naturali e, possibilmente, già contestualizzate.
«Il cambiamento è costante e l’accelerazione degli ultimi mesi è stata impressionante. Stiamo assistendo a due grandi trasformazioni: innanzitutto le persone si stanno abituando a “conversare” con i motori di ricerca. E invece di usare stringate parole chiave (“miglior ristorante Roma centro”), formulano domande complesse e contestuali (“Sto cercando un ristorante per una cena romantica a Trastevere, non troppo costoso, con opzioni vegetariane e aperto stasera”).
Questo è un effetto diretto dell’abitudine a interfacciarsi con assistenti vocali e chatbot.
Questa tendenza favorisce i contenuti che rispondono in modo esaustivo e naturale a domande specifiche, anticipando i dubbi successivi dell’utente.
Poi, l’altra trasformazione che non possiamo ignorare è che sempre più spesso, la risposta alla domanda di un utente viene fornita direttamente nella pagina dei risultati di ricerca, tramite featured snippet, il box “Le persone hanno chiesto anche” e, ora, tramite le risposte generate dall’AI (come nella Search Generative Experience di Google), l’utente ottiene l’informazione senza bisogno di cliccare su alcun link.
Ormai una porzione significativa di ricerche non genera più click, un trend che l’integrazione dell’AI generativa potrebbe accentuare. Questo non significa che i click spariranno ma che avverranno per ricerche più complesse, che richiedono un approfondimento che una risposta generativa non può fornire: guide dettagliate, tutorial, recensioni comparative, e contenuti che trasmettono una forte brand identity. L’utente che arriverà sul contenuto sarà fortemente interessato (e quindi profilato)».
Quante volte si è già parlato della morte della SEO? Eppure, oggi, non solo continuiamo a ottimizzare i contenuti per Google, ma ci muoviamo anche verso i motori generativi, applicando la GEO (Generative Engine Optimization). Possiamo allora considerarla non una sostituzione della SEO tradizionale, ma un’evoluzione naturale, perfettamente in continuità con ciò che la SEO è sempre stata.
«La SEO è morta moltissime volte, eppure è ancora qui, semplicemente perché finché esisteranno motori di ricerca (o di risposta), esisterà la necessità di ottimizzare i contenuti per essere visibili. Oggi si parla di GEO (Generative Engine Optimization), ma non la vedo come una disciplina separata o una sostituzione della SEO, quanto piuttosto come una sua evoluzione naturale e un’estensione.
La SEO tradizionale si concentra su keyword research, ottimizzazione on-page (tag, meta, struttura), link building e performance tecniche (velocità, mobile-first).
La GEO aggiunge a tutto questo un focus specifico su come diventare la fonte primaria da cui l’AI attinge per generare le sue risposte. Non è poi così diverso.
Non vedo una rottura netta tra SEO e GEO, ma un’evoluzione logica. L’autorevolezza, elemento chiave nella SEO tradizionale (E-E-A-T), diventa il pilastro fondamentale della GEO. I motori generativi, infatti, selezionano risposte da fonti già riconosciute come autorevoli. Chi investe sulla qualità, la chiarezza e sulla costruzione di fonti autorevoli oggi sarà privilegiato domani anche dalle AI».
Non è vero che cerchiamo tutti le stesse cose: il content marketing può ancora intercettare desideri, dubbi e bisogni ultra-specifici? E ancora: chi fa content marketing può ancora “vincere” con contenuti di nicchia e a coda lunga, o l’AI generativa rende tutto più competitivo?
«Assolutamente sì. Anzi, nell’era dell’AI, la nicchia e la coda lunga diventano il terreno di gioco più strategico e profittevole. L’AI generativa, nella sua forma più basilare, è bravissima a coprire gli argomenti “di testa”, quelli più generici e competitivi. Ma è proprio qui che si crea l’appiattimento di cui parlavamo.
Il vero valore si crea andando dove l’AI “generalista” non arriva.
Provo a farti un esempio. Invece di scrivere “Come allenarsi a casa”, si può creare un contenuto su “Esercizi a corpo libero per neomamme nei primi 6 mesi post-parto per recuperare il tono addominale senza rischi”. Una query così specifica difficilmente riceverà una risposta soddisfacente da un’AI generica, che non può comprendere le sfumature mediche e personali.
Le persone non cercano solo informazioni, ma anche connessione. Un brand che costruisce contenuti per una nicchia specifica (es. appassionati di un certo tipo di gioco da tavolo, collezionisti di vinili rari) crea una community che l’AI non può replicare.
Il racconto di un caso studio reale, di un fallimento e di cosa si è imparato, di un viaggio, sono contenuti unici e inimitabili.
L’AI generativa rende il mercato più competitivo sulle “commodity information” (le informazioni generiche), ma allo stesso tempo aumenta il valore dei contenuti di nicchia, specialistici ed esperienziali.
Un elemento strategico in più è il dato proprietario. Chi sfrutta dati esclusivi (analisi dei propri clienti, statistiche interne, report proprietari) crea contenuti di nicchia irripetibili, generando un valore che un modello linguistico basato su dati pubblici non può imitare. L’AI diventa uno strumento potentissimo per identificare le opportunità, ma è l’esperienza unica del brand a trasformarle in valore».
Secondo te il content marketing continua a funzionare? Qual è la competenza che chi lavora con i contenuti non può in alcun modo delegare all’AI? È possibile costruire una strategia di content marketing efficace integrando l’AI? Hai un esempio concreto da condividere?
«ll content marketing non solo funziona, ma è forse più importante che mai come strumento per costruire un brand forte e una relazione di fiducia con il pubblico. Quello che non funziona più è il “content marketing di quantità”, la produzione industriale di articoli di bassa qualità solo per “coprire” delle keyword.
Una strategia di content marketing che integra l’AI generativa con successo non usa l’intelligenza artificiale per sostituire il pensiero strategico e la creatività umana, ma per potenziarli.
Proviamo a fare un esempio (per un’azienda che vende software di project management):
Ricerca e analisi (AI-Powered):
- Input Umano: Il content manager definisce i cluster di pubblico (es. “startup tech”, “agenzie creative”, “imprese edili”).
- Azione AI: Si usano strumenti di AI per analizzare forum di settore (Reddit), recensioni di software concorrenti e discussioni sui social per ogni cluster. L’AI estrae i pain point ultra-specifici: “Come gestisco il feedback dei clienti su 10 progetti contemporaneamente?”, “Qual è il modo migliore per tracciare le ore su attività non fatturabili?”.
Ideazione e strutturazione (Umano + AI):
- Input Umano: Basandosi sui pain point, il content strategist decide gli argomenti: non un generico “Come usare il nostro software”, ma “La guida definitiva per agenzie creative per gestire il caos dei feedback con il metodo X”.
- Azione AI: Si usa l’AI per generare una bozza di struttura per l’articolo (H2, H3, FAQ da includere), suggerire dati e statistiche da citare e identificare le entità semantiche da coprire per una trattazione completa.
Creazione (Umano al centro):
- Azione Umana: Un vero project manager o un content writer esperto scrive il contenuto, inserendo esperienze reali, esempi pratici, screenshot del software in azione, e raccontando una storia. La voce del brand deve essere chiara e riconoscibile.
- Supporto AI: L’AI può essere usata per rifinire paragrafi, controllare la grammatica, o suggerire titoli alternativi (A/B testing).
Distribuzione e ottimizzazione (AI-Powered):
- Azione AI: L’AI aiuta a creare post per i social media personalizzati per ogni piattaforma, a scrivere bozze di newsletter e a identificare influencer di nicchia che potrebbero essere interessati al contenuto.
Questo approccio ibrido mantiene l’autenticità e l’esperienza umana al centro, usando l’AI come un potentissimo assistente di ricerca e ottimizzazione».
E, per concludere, hai un paio di suggerimenti utili per chi fa content marketing oggi?
«Il primo è che il tuo valore non risiede più nella capacità di scrivere 1000 parole, ma nella tua abilità di porre le domande giuste, di verificare le informazioni, di guidare l’AI generativa, di curare il risultato finale e di infondergli strategia, creatività ed esperienza.
Usa l’AI per le attività a basso valore (ricerche preliminari, bozze) per liberare tempo da dedicare alle attività ad alto valore (strategia, storytelling, analisi dei dati, connessione con il pubblico).
Chiediti sempre: cosa posso raccontare che solo io/il mio brand può raccontare? Può essere un dato proprietario, un caso studio di un cliente, la storia della fondazione dell’azienda, un’analisi basata sulla tua decennale esperienza nel settore. In un mare di contenuti potenzialmente simili, l’esperienza autentica e la voce del brand non sono solo un vantaggio competitivo, ma l’unico vero fattore di differenziazione rimasto.
Il secondo è che il futuro appartiene a chi sa integrare l’efficienza dell’AI con l’insostituibile profondità dell’ingegno umano».
—
Insomma, ogni volta che sentiamo dire che il content marketing è morto gli stiamo augurando lunga vita e ci avremo a che fare a lungo. E con la Generative AI succederà (anzi, sta già succedendo) lo stesso: non è la fine di nulla.
Quello che sappiamo è che i contenuti piatti, tutti uguali, non funzionano mai (né per Google, né per chi legge). La differenza la fanno competenza, esperienza e test continui. E sì l’AI è utile, utilissima, ma se la usiamo per sostituirci del tutto il risultato potrebbe risultare noioso. Per questo facciamo fare all’AI i compiti più noiosi e noi ci teniamo la parte di strategia, creatività, storie vere.
È lì che, per ora almeno, si vince davvero.