Cartaceo o digitale? L’importante è ricominciare a leggere il giornale

La carta è morta, viva la carta! Che i giornali siano in crisi, lo sappiamo. Non sappiamo, invece, chi siano le persone che non rinunceranno mai alla lettura del quotidiano cartaceo, in quale zona d’Italia vivano, quale titolo di studio abbiano. Ce lo svela l’ultima ricerca di Audipress, ente ufficiale di riferimento per la lettura della stampa quotidiana e periodica in Italia.

Dal 2014 al 2020, sono andati persi 5,68 milioni di lettori nella giornata media. Di questi, ben 2,23 milioni sono spariti fra il 2019 e il 2020, nonostante l’emergenza sanitaria abbia costretto tutti a casa. Anche i fruitori delle “repliche digitali” nella giornata media non raggiungono il milione (sono 965 mila), dunque nel nostro Paese si legge poco.

Le regioni dove è maggiormente diffusa l’abitudine all’acquisto del quotidiano sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Lazio. Chi legge possiede una laurea o un diploma ed è disposto a  pagare un abbonamento. Gli altri “curiosano” tra le pagine, soltanto quando la lettura è gratuita. È vero che gli scrocconi sono diminuiti durante la pandemia, per l’irreperibilità dei quotidiani nei pubblici esercizi: erano il 62,1 per cento nel 2019 e sono diventati il 52,8 per cento nel 2020. Ma al calo – parliamo di 2,7 milioni di persone – non corrisponde un aumento delle vendite.

Il cartaceo vince sul territorio

Esiste un problema di concezione del prodotto-giornale al quale i continui redesign non danno risposta, è evidente. Ma in questo incessante décalage persistono la rilevanza delle testate a diffusione regionale e l’attaccamento al cartaceo da parte degli esperti dell’informazione. Sono due facce della stessa medaglia, vediamo perché.

Sebbene i talk show mostrino sempre i volti dei professionisti che provengono dai quotidiani più diffusi, la spina dorsale del settore continua ad essere rappresentata dalla cronaca locale. I lettori, che attraverso la Rete si informano in tempo reale sulle grandi questioni politiche e sociali, al proprio giornale chiedono che cosa succede sul territorio, chi nasce, chi muore, come si accede ai servizi sanitari, perché il sindaco o il presidente della Regione abbiano assunto una certa delibera. 

Ecco spiegato, allora, il successo del quotidiano La Stampa in Piemonte e Valle d’Aosta, dove vende il maggior numero delle copie. Stessa cosa per Il Resto del Carlino in Emilia-Romagna e nelle Marche, per La Gazzetta del Mezzogiorno in Puglia e Basilicata, per Il Messaggero nel Lazio e nel Molise.

Il giornalismo come incontro

Se fare il giornalista è svolgere una professione, farlo per la carta stampata è una missione irrinunciabile. Ascoltare, capire, raccontare sono i doveri del cronista abituato ad andare sul campo, ad incontrare le persone, a vedere con i propri occhi. Prima di informare gli altri, come diceva Walter Tobagi, il vero cronista informa se stesso attraverso lo studio e l’elaborazione culturale, poi si mette in marcia e arriva sulla scena del fatto che intende indagare. E la sua bussola è il lettore, mai lo specchio. 

Rodolfo Casadei, classe 1958, è giornalista ed inviato speciale. È stato redattore specializzato per l’Africa presso il mensile Mondo e missione, attualmente scrive per il periodico Tempi. Ha realizzato reportage in 50 Paesi, soprattutto africani e mediorientali, ha compiuto missioni in Siria, Iraq, Darfur, Nigeria, Ruanda durante il genocidio, Sudafrica al tempo dell’apartheid, Uganda per l’epidemia di Ebola, Afghanistan. E ancora, è stato ad Aleppo, a Mosul, al Cairo durante la Primavera araba. Da sempre sostenitore dell’importanza dei giornali cartacei, Casadei ritiene che abbiano un ruolo primario anche nell’era digitale. 

“Ho un blog sul sito Internet tempi.it e scrivo anche sui media digitali, ma le mie esperienze di inviato per la carta stampata hanno forgiato in me una precisa convinzione. Occorre combattere l’egemonia del digitale perché è funzionale alla dittatura dell’Uguale e all’espulsione dell’Altro dall’orizzonte del mondo. Il digitale impedisce di fare l’esperienza dell’incontro, che è sempre anche uno scontro, con l’Altro. Senza la relazione con l’Altro, il soggetto che siamo scompare. Noi siamo noi stessi solo nel rapporto con l’altro, senza l’alterità non si forma la nostra identità”.

La riflessione di Rodolfo Casadei

Un giornale si sfoglia, un supporto digitale si digita. Digitale indica una comunicazione basata sul codice binario di un sistema numerico. In inglese cifra si dice “digit”. Ma in italiano il gioco di parole è perfetto: all’informazione digitale si accede senza usare l’intera mano, ma semplicemente pigiando con le dita dei tasti. “Sembra una differenza da niente – fa notare Rodolfo Casadei – e invece è una differenza fondamentale. Il giornale è un oggetto che ci sta di fronte, che ci oppone resistenza. Richiede l’utilizzo del pollice per essere sfogliato, richiede cioè l’uso di ciò che fa della nostra mano una mano umana. Lo schermo della comunicazione digitale oppone una resistenza minima. Basta premere o strisciare con un dito e il passaggio dall’intenzione della volontà alla realizzazione della volontà è istantaneo. Lo schermo nutre l’illusione che la realtà sia il prodotto di un atto della nostra mente”.

Il giornalista Rodolfo Casadei

Il digitale, inoltre, annulla la distanza, ma non genera vicinanza reale. “Io so che c’è la guerra in Siria – esemplifica Casadei – mi arrivano informazioni, magari attraverso la Rete. Ma vado in Siria per verificare le notizie, perché so che l’affidabilità delle notizie di una guerra è condizionata dalla fonte: ci sono due parti che si combattono. Per avere un’informazione affidabile serve un osservatore terzo, che non sia parte in causa”.

Rieducare all’ascolto

Nel mondo della comunicazione de-medializzata, dove in nome dell’interattività i lettori si sono abituati ad intervenire sugli articoli dei giornalisti in maniera reattiva, dove dire la propria è diventato più importante che approfondire i contenuti dell’articolo che si legge, il giornalista ha un grande compito: rieducare all’ascolto.

“Per rieducare il pubblico all’ascolto – conclude l’inviato – deve essere proprio il cronista a dare il buon esempio. Quando mi metto in ascolto, io metto in primo piano l’altro e metto in secondo piano me. Faccio il contrario di quello che fanno i social, dove tutti gridano, tutti vogliono mettersi in evidenza, tutti vogliono avere l’ultima parola. Noi possiamo guarire la comunicazione solo se al centro mettiamo l’ascolto”. 

Il pensiero del vicedirettore Valentina Desalvo

Ma tornare indietro è impossibile e tutti siamo favorevoli al progresso. Per Valentina Desalvo, vicedirettore di Repubblica, carta stampata e digitale possono convivere. “È come se avessimo due case, una è quella in cui abbiamo vissuto e l’altra è quella che stiamo costruendo. Nel giornalismo, il cartaceo è la casa che dobbiamo ristrutturare e portare a nuova vita, quella in costruzione è il digitale su cui stiamo puntando con determinazione”.

Sono 6 milioni gli utenti che ogni giorno accedono al sito di Repubblica. Durante la fase acuta della pandemia, la media giornaliera è stata di dieci milioni e sono in crescita anche gli abbonamenti digitali che hanno toccato il picco dei 150 mila. Cartaceo e digitale, dunque, possono essere considerati alleati, non avversari. Ma sono ancora i giornalisti di penna gli opinion leader. Sono loro, generalmente, ad essere invitati nei salotti televisivi. E quello che scrivono diventa verbo. 

La giornalista Valentina Desalvo

Una redazione per amica

Anche per Valentina Desalvo, che è cresciuta nella redazione bolognese del grande quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, i giornali cartacei giocano un ruolo importante, soprattutto nei territori. “Proprio perché hanno un radicamento decisivo, le redazioni locali sono tutt’ora riconosciute come punto di riferimento. Sono la voce e il contraddittorio di chi vive in quella comunità e costruiscono una rete sociale reale. I giornali locali, spesso, funzionano meglio delle grandi realtà editoriali nazionali perché soffrono meno il problema della concorrenza e dell’informazione sbriciolata che si snocciola sui siti generalisti o sui social network”. 

Se la libertà di espressione è un diritto di tutti, il diritto di informare spetta soltanto al giornalista che lo esercita nel rispetto delle leggi e dei codici deontologici. Ciò dovrebbe bastare a riavvicinare le persone alla lettura del quotidiano. Uno strumento di conoscenza che, al mattino, in qualsiasi forma, dovrebbe entrare in ogni casa come il pane e il latte.

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