Tecnologie ed intelligenza artificiale per capire gli animali

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Ammettiamolo. Chi di noi, guardando “Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban”, non avrebbe desiderato conoscere i pensieri di Grattastinchi, il gatto di Hermione, quando Ron lo accusava ingiustamente di aver divorato il suo topo Crosta? E, più in generale, quale amante degli animali non vorrebbe scoprire ciò che passa per la testa dei suoi amici pelosi?

La frontiera della comunicazione uomo-animale è sempre più terra di conquista per le nuove tecnologie. Ultimo, in ordine di tempo, è un collare che arriva dalla Corea del Sud. Secondo il suo inventore, lo strumento sarebbe in grado, grazie all’intelligenza artificiale, di analizzare l’abbaiare dei cani, distinguendo quattro emozioni: felicità, tristezza, rabbia, ansia. E, per non fare torto a nessuno, dall’Inghilterra un collare analogo si propone di fare lo stesso per i gatti.

Il funzionamento di questo tipo di dispositivi si basa su parametri diversi a seconda dell’oggetto. Esiste il collare che analizza alcune caratteristiche dell’animale, come la frequenza cardiaca e la temperatura corporea, convertendole in emozioni. C’è il collare che rileva le espressioni facciali, dimenticandosi però delle altre parti del corpo che il quattrozampe usa per comunicare. Non manca il collare che studia il verso del cane e lo rende al padrone con un messaggio di testo sullo smartphone. E, dulcis in fundo, il collare, realizzato da un’azienda statunitense, che traduce l’abbaiare in bestemmie.

Il collare smart bocciato dall’esperto

Tutte queste novità portano sempre più persone a porsi una domanda: abbiamo davvero bisogno di dispositivi che ci aiutino a comunicare con il nostro cane? Lo abbiamo chiesto a Cristian Siani, educatore cinofilo, psicologo canino ed esperto nel recupero di animali con problemi comportamentali.

“A mio parere, l’invenzione di prodotti del genere risponde quasi sempre ad un’operazione di marketing – spiega Siani – perché realmente non servono a nulla. Anzi, riducono il rapporto tra uomo ed animale a situazioni codificate, quando invece questa forma di relazione è molto simile a quella tra genitori e figli. Cambia soltanto la lingua”. Di conseguenza, questi dispostivi possono risultare addirittura dannosi.

L’educatore cinofilo Cristian Siani

“Questi strumenti – continua Cristian – creano una serie di risposte fisiche ad una serie di impulsi, dando al padrone la falsa idea di star educando l’animale, quando invece lo sta addestrando. Sono oggetti che nascono e muoiono nel campo cinofilo e se vengono usati su animali dal passato burrascoso, perché magari vittime di maltrattamenti, possono traumatizzarli”.

Allora sorge il dubbio che l’uso di questi dispositivi sia stimolato da un certo egocentrismo umano, con i padroni che preferiscono provare ad umanizzare i loro animali, anziché cercare di entrare nel loro mondo.

Educare, non addestrare

“Più che per egocentrismo – osserva ancora Cristian Siani – direi che ciò che spinge le persone verso questa tipologia di acquisti è l’inconsapevolezza. I padroni, spesso, non conoscono bene l’argomento e si affidano a persone che, talvolta, propinano loro oggetti, indirizzandoli verso la strada dell’addestramento, anziché verso quella dell’educazione. Il risultato è che chi fa il mio lavoro si trova di fronte ad animali con problemi non risolti da mesi di addestramento”.

Eppure, interpretare i bisogni dei cani non sembra poi così difficile. I nostri amici a quattro zampe comunicano con più parti del corpo – bocca, orecchie, occhi, zampe e coda – spingendoci a riscoprire linguaggio non verbale. Nella maggior parte dei casi, mandano segnali chiari che non sempre gli umani sono in grado di comprendere.

In conclusione, sembra proprio che nei rapporti con gli animali, come in quelli tra esseri umani, non esistano scorciatoie o applicazioni dedicate, ma ci si debba affidare alle emozioni e ai sentimenti.

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