Che cosa serve alle aziende oggi per fare innovazione?

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Innovazione: una parola che negli ultimi anni è ormai sulla bocca di tutti. Il tema di libri, convegni, dibattiti, che provano a recuperare una regola, una direzione certa e definita, da offrire ai manager per trasformare le proprie aziende e proiettarle verso il futuro. Il volano da cui far prosperare strategie e processi di modernizzazione per il medio e lungo periodo. Un ideale ambizioso, che apre alle domande più disparate: l’innovazione nasce in periodi di crisi o in periodi tranquilli? Si innova di più per caso o attraverso processi strutturati? Gli innovatori sono più frequentemente menti scientifiche o menti con approcci umanistici?
Nello speciale di oggi parliamo di innovazione nella comunicazione d’impresa come elemento di crescita imprescindibile per le aziende italiane e non solo, quindi, scopriamo insieme come innovare davvero!

Da un’indagine svolta da Lenovys, società di consulenza aziendale, condotta su un campione di circa 300 aziende italiane medio-grandi, emerge che la maggior parte delle aziende italiane è attenta all’innovazione ma meno di una su tre è soddisfatta dei risultati.

Oggi, quindi, parlare di innovazione è sì elemento imprescindibile per delineare gli scenari futuri di aziende, organizzazioni complesse, governi e nazioni, ma è anche un territorio impervio, sdrucciolevole, dove spesso ci si perde dietro facili soluzioni o nel riflesso prodotto da “specchietti per le allodole”. Perché, contrariamente a ciò che molti credono o proclamano, non esiste una “ricetta” pronta all’uso per innovare.

Di cosa parliamo quando parliamo di innovazione

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Il primo a parlare di innovazione fu Schumpeter che, in “Teoria dello Sviluppo Economico”,  la definì come la prima introduzione nel sistema economico e sociale di un nuovo prodotto, procedimento o sistema. Un atto imprenditoriale, quindi, capace di far passare un’invenzione dallo stadio di prima idea a quello di concreta applicazione commerciale. La definizione schumpeteriana non è chiaramente limitata alle innovazioni tecniche relative a nuovi prodotti e procedimenti, ma comprende anche innovazioni organizzative e gestionali, l’apertura di nuovi mercati, la scoperta di nuove fonti di approvvigionamento etc.

Innovazione: la recente definizione dell’OCSE

L’OCSE, inoltre, definisce l’innovazione come “l’implementazione di un prodotto (bene o servizio) nuovo o significativamente migliorato, oppure un processo, un nuovo metodo di marketing, o altrimenti un nuovo metodo organizzativo di business, luogo di lavoro o relazioni esterne”.

Insomma, innovare vuol dire introdurre un elemento nuovo, un nuovo modello, un prodotto inedito, un processo che cambi completamente o modifichi in parte l’ordine delle cose. Per migliorarlo o ricostruirlo dalle fondamenta. Oggi si direbbe, forse, introdurre qualcosa di disruptive.

Ma come si traduce questo nella pratica?

Innovare oggi: integrazione, conoscenza, senso. La parola degli esperti.

Silvio Ripamonti, Ricercatore in Psicologia sociale e del lavoro presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, afferma: «Oggi fare innovazione significa sostenere il dialogo tra diversi saperi. I gruppi di lavoro che operano all’interno delle organizzazioni provengono sempre più da aree disciplinari diverse. E il dialogo costruttivo tra di essi aiuta a portare innovazione all’interno dei contesti lavorativi, delle aziende italiane per esempio. Da soli si può fare poco. L’errore più grande quando si cerca di innovare? Pensare più all’idea che alle persone che la realizzeranno».

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L’innovazione è, quindi, integrazione, confronto, conversazione. Qualcosa su cui le aziende italiane e mondiali devono continuare ad investire. Vuol dire mettere insieme persone “diverse” tra loro. Così da favorire lo scambio di energie e visioni tra chi ha l’ingenuità della scoperta e chi ha adeguate competenze date dall’esperienza. Tra figure del mondo STEM e quelle con competenze umanistiche. È un incontro tra punti di vista differenti, eppure connessi.

Questo porta, come sostiene Giovanna Prina di BBsette, società di consulenza e formazione, ad «allargare e distribuire le informazioni e le conoscenze il più possibile, senza mettere sezioni, comparti o funzioni a dividere il sapere. Perché la specializzazione è sì un valore per l’innovazione, ma il sapere diffuso è ciò che permette di identificare possibilità differenti e sviluppo».

Per innovare serve avere un target chiaro e definito

L’innovazione è conoscenza. Conoscenza, chiaramente, del settore in cui si opera, ma soprattutto dei propri clienti, del pubblico che si cerca di “colpire”. Lo spiega bene sul suo blog Matteo Fusco, docente di Politiche Economiche per le Organizzazioni all’Università Cattolica di Milano:

«Steve Blank, imprenditore seriale della Silicon Valley e docente alla U.C. Berkeley e alla Stanford, nel suo libro “The Startup Owner’s Manual” lo affermava con forza: nessun business plan sopravvive al contatto con i clienti. È un concetto che può sembrare banale, vecchio e scontato ma ogni giorno ci rendiamo conto di come la segmentazione del mercato sia di per sé un vantaggio competitivo, in grado anche in breve tempo di fare cambiare marcia a ogni business. Non tutti i clienti sono uguali. Non si tratta di avere persone già disposte a comprare o alle quali tentare di vendere qualcosa in più o di nuovo. Si tratta invece di sfruttare i “migliori clienti” per comprendere in che direzione sia profittevole andare».

Quando l’innovazione ha anche un purpose: il caso Bempu

Innovare vuol dire trovare un senso e uno scopo. Nel suo libro “Innovare Davvero”, Alf Rehn dice: “Per avere successo, le aziende devono riflettere di meno sull’innovazione in generale e di più sullo scopo delle loro attività d’innovazione.”  La strada da seguire per l’innovazione è dunque quella di anteporre lo scopo, il senso e il significato alla volontà e tendenza di fare cose nuove.

Nel libro viene riportato, a tal proposito, l’esempio di Bempu, azienda specializzata nell’assistenza sanitaria ai neonati che opera prevalentemente in India. Il suo prodotto più rappresentativo è un braccialetto elettronico a basso costo che monitora la temperatura corporea dei bebè nei loro primi mesi di vita. In realtà, è anche un sistema di segnalazione precoce dell’ipotermia, che nel Terzo Mondo uccide migliaia di neonati e può compromettere lo sviluppo di quelli che sopravvivono.

L’innovazione è quindi, come abbiamo visto, il risultato di un processo complesso e articolato, dove punti di vista e conoscenze diverse si incontrano e si “scontrano”. Spesso attraverso modalità e percorsi inaspettati.  È un esercizio di sperimentazione che mette insieme elementi differenti e spinge le persone a cercare equilibri tra aspetti considerati lontani o a volte addirittura contrari, per creare un contesto fertile e produttivo dove far nascere “nuove idee” e dare loro un senso, uno scopo.

’20 | ’21 | ’22: Presente e futuro della Comunicazione d’Impresa: l’innovazione nella comunicazione

Si è parlato di innovazione nella comunicazione – e di molto altro – in occasione del webinar ’20 ’21 ’22: Presente e futuro della comunicazione d’impresa. Organizzato da L’Eco della Stampa. Tra gli speaker che hanno partecipato, Micol d’Andrea, Marketing Manager presso RE/MAX Aliante, ha parlato di innovazione nel mondo della comunicazione. Un’innovazione che oggi deve essere di significato. Perché la comunicazione non è solo “dire”, non è solo spot e proclami, ma è prima di tutto “fare”. La comunicazione oggi, per essere innovativa, deve inoltre avere una visione, una capacità di leggere oltre il nostro presente, partendo dal presente stesso.

Per ascoltare il contributo di Micol d’Andrea e rivedere tutto l’incontro, cliccate qui.

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