Comunicazione
Scrivere su LinkedIn non basta più: come distinguersi (anche dall’AI) per farsi riconoscere
22 Dicembre 2025
Se ti stai chiedendo quale sia la ricetta del post perfetto per LinkedIn stai facendo la domanda sbagliata. La domanda giusta, per me, è: perché scrivere ancora su LinkedIn?
Tempo fa, con un po’ di mestiere (o intuito), una storia e un po’ di tempo, si buttava giù un post che poteva attirare like e commenti con lo scopo – forse neppure troppo volontario – di farsi riconoscere e ricordare attraverso l’associazione con le proprie competenze. Io per esempio tanti anni fa sono stata quella “dei social”: li provavo tutti, leggevo tutte le ultime novità, lavoravo in un Gruppo editoriale dove avevo la possibilità di approfondire. Ed è attraverso il racconto di quanto imparavo via via che sono arrivata a insegnare all’Università, riconosciuta come un’esperta del settore.
Oggi LinkedIn è pieno di post in cui i testi puliti e strutturati in maniera molto simile fanno pensare di essere scritti… tutti dalla stessa persona. O da persone diverse che hanno fatto ricorso alla AI.
E nessun problema ad usarla, ma cosa commentare quando tutto suona uguale? A chi mostrare il proprio apprezzamento? Ed è così – anche io faccio lo stesso – che mettiamo like, spesso senza neppure leggerli, a post di colleghe e colleghi, a quelli della nostra azienda e così via.
I post su LinkedIn hanno tutti lo stesso sapore: approfondiamo l’utilità (o meno) dell’AI nella creazione di contenuti per LinkedIn con Lidio Lombardi
Per parlare dell’utilità – se ne ha – di questa tendenza ai fini del lavoro, ho chiesto un parere a un head hunter, Lidio Lombardi, Senior Director Associate Digital in LHH Italy, società del Gruppo Adecco. Con lui ho parlato di contenuti perfetti, se lo sono, ma non si sa per cosa.
«È vero che con la consumerizzazione dell’AI (tutti possiamo usare ChatGPT, Gemini e le altre), i post di LinkedIn hanno assunto uno stile sempre più simile, tanto che è difficile distinguere tra i contenuti quelli che usano testi generati. Sembra che non sia solo una percezione: con l’algoritmo che privilegia formati “sicuri” e ottimizzati, la creatività e l’impronta personale rischiano di perdersi». Però per un po’ ci abbiamo iniziato a far caso apprezzando piani editoriali che noi non avevamo più tempo di pianificare.
Ma tutti questi contenuti pagano?
«Con la Generative AI e gli algoritmi che premiano la quantità, il rischio è di confondere la presenza con la reputazione», spiega Lidio Lombardi «Non basta più esserci — bisogna avere qualcosa di vero da dire, e dirlo in modo che risuoni con chi ci legge».
A me in verità capita di leggere di tutto e del contrario di tutto, come si suol dire, e soprattutto di cose che non c’entrano nulla. È parso anche a te, vero, che su LinkedIn la gente stia raccontando quello che prima raccontava su Facebook? Tutti hanno una storia ricca d’ispirazione e insegnamenti da trarne.
«Il boom dello storytelling genera ogni giorno una quantità impressionante di storie che sembrano tutte uscite dallo stesso laboratorio narrativo, e cavolo, sì che si nota e molti ormai guardano con noia o diffidenza i racconti standardizzati magari pieni di emoji, preferendo commenti o discussioni sui post altrui». Molte persone che fanno recruiting, anche. Non mi annoio solo io quindi. «Gli utenti (e i recruiter) non cercano chi pubblica di più, ma chi partecipa meglio: chi sa commentare, condividere punti di vista, contribuire a una conversazione in modo autentico».
Oggi su LinkedIn, conta di più cosa pubblichi o come interagisci?
Allora un’altra domanda che ho fatto a Lidio Lombardi è se conta di più cosa pubblichi o come interagisci. Io sono convinta che paghi di più – da sempre, mica solo oggi – generare connessioni reali basate sui propri interessi e devo dire che non mi sono stupita nel trovarci d’accordo. D’altra parte anche io e Lidio ci siamo conosciuti in Rete. «Nel 2025 la discriminante non è solo cosa si pubblica, ma soprattutto come si interagisce: intensificare i commenti, partecipare a conversazioni e rispondere in modo autentico genera più attenzione che pubblicare in continuazione. I commenti veri, non generati da AI, sono diventati il modo più efficace di emergere e costruire una reputazione solida».
Chiudiamo parlando di AI. Nella precedente intervista con Laura Venturini, siamo giunte alla conclusione che i testi tutti uguali non sono noiosi ma soprattutto inutili.
È così anche su LinkedIn? «È come dici tu, ma se fino all’anno scorso chi usava l’AI per scrivere post veniva considerato innovativo, oggi saper usare questi strumenti è ormai dato per scontato, soprattutto per chi vuole posizionarsi nel mercato del lavoro digitale saper usare l’AI non è più motivo di differenziazione».
Insomma, se siamo brave e bravi tutti, ora di cosa parliamo?
In un contesto dove la visibilità è diventata accessibile, il vero impegno non è più scrivere, tanto più adesso che un buon piano editoriale può essere generato in fretta. Perché se i post possono somigliarsi tutti, le persone invece no. E a farsi riconoscere, alla fine, non è chi pubblica di più, ma chi riesce a farsi ricordare per ciò che è davvero.