La nuova strategia anticrisi delle grandi imprese familiari

Se cammini per strada e ti ferma John Travolta perché ti ha riconosciuto, sei sicuramente una persona famosa. È successo a Giovanni Rana, mentre andava alla festa della comunità italiana negli States. Di lui e di quelli come lui vogliamo parlare, per scovare il segreto delle imprese familiari che resistono alla crisi e addirittura si espandono, mentre il mondo tutt’attorno sembra crollare.

“Ogni azienda nasce con una famiglia” sosteneva Gianni Agnelli. Una sorta di profezia, se pensiamo al successo di Fiat. Una regola per le 784 mila imprese che in Italia pesano il 70 per cento in termini di occupazione e costituiscono il 60 per cento del mercato azionario. Le più grandi si chiamano Pirelli, Benetton, Marzotto, Luxottica, Ferrero. Con altre, meno conosciute, rappresentano i 2/3 delle imprese nazionali e contribuiscono in larga misura alla produzione del PIL. È questa la fotografia più aggiornata, scattata da Russel Reynolds Associates, società di consulenza manageriale ed executive search.

Parola d’ordine, resilienza

La recessione c’è, sarebbe assurdo negarlo. Ma la resilienza di queste imprese è incredibile. E la sfida alla quale vengono chiamate in questo momento è l’internazionalizzazione. I loro punti di forza sono, oltre la capacità di reggere gli urti, l’attenzione ai ricavi e la voglia di fare investimenti a lungo termine. I loro dirigenti sono molto più giovani rispetto a quelli delle imprese classiche, lavorano soprattutto nel settore manifatturiero (47 per cento), nel commercio (26 per cento), nei servizi (15 per cento).

Il Sud guida la classifica delle imprese familiari (79 per cento), seguono il Nord-Est (68 per cento), il Centro (64 per cento), il Nord-Ovest (60 per cento). La Campania è in testa alle regioni, mentre la Valle d’Aosta si colloca all’ultimo posto. I dati, tuttavia, svelano che le aziende del Nord sono le più produttive.

Matteo Marzotto

I pregiudizi del passato

Nonostante la loro importanza, le imprese familiari non hanno sempre goduto di stima. Come insegna Guido Corbetta, il professore che dieci anni fa ha inventato il corso più frequentato dell’Università Bocconi, “Strategia delle aziende familiari”, queste imprese sono state a lungo sottovalutate. I ricercatori di diverse discipline (storia, management, finanza) in passato erano convinti che le imprese familiari fossero un retaggio della fase pionieristica dello sviluppo economico.

Secondo i detrattori, le imprese familiari avevano diversi handicap: la malapianta del nepotismo, la pretesa dei proprietari di mantenere il controllo anche senza risorse (i cosiddetti capitalisti senza capitale), il frazionamento della ricchezza a causa dei litigi fra parenti.

Questi pregiudizi sono stati superati dalla storia e perfino la Commissione Europea ha sentito la necessità di creare il Family Business Group, un organo consultivo, che ha definito le caratteristiche dell’impresa familiare. Per dirsi tale, un’azienda deve essere controllata (al 51 per cento se non quotata, al 25 per cento se quotata) da una o poche persone legate fra loro da parentela e almeno un membro della famiglia deve essere coinvolto nel governo o nel management.

Ma che cosa favorisce la continuità di un’impresa familiare? È ancora il professor Corbetta che lo insegna ai suoi ragazzi, anche attraverso i numerosi libri che ha scritto. Per andare avanti, l’azienda ha bisogno di una leadership capace e motivata, di una proprietà responsabile, di una governance moderna e di un sistema di regole elastiche che consentano cambiamenti.

Esempi italiani

Lo capirono, già tanti anni fa, i dirigenti del Gruppo Ferragamo. Nata nel 1927 a Firenze da Salvatore Ferragamo, umile calzolaio di Avellino, la grande azienda di famiglia oggi è uno dei principali player nel settore del lusso. Ma non è stato facile arrivare fin qui. Per evitare di confondere casa e lavoro, la Ferragamo in un momento di particolare delicatezza commissionò uno studio ad un economista e fissò le regole che tutti i componenti la famiglia avrebbero dovuto rispettare. Conseguire una laurea, per esempio, frequentare almeno un master, conoscere le lingue straniere. I rampolli senza titoli non sarebbero stati esclusi dall’asse ereditario, ma non avrebbero mai messo piede nella stanza dei bottoni.

Ferruccio Ferragamo con Julianne Moore

Anche Giovanni Rana ha osservato una disciplina ferrea per scalare la vetta del successo. Nato nel 1937 a Cologna Veneta, ha cominciato a lavorare all’età di 11 anni come garzone nel forno di famiglia. Nel 1961 ha deciso di produrre tortellini e nel 1968 ha brevettato la prima macchina per produrne grandi quantità.

Al grande pubblico Giovanni Rana si è fatto conoscere attraverso la televisione, a partire dagli anni Novanta, attraverso la prima campagna pubblicitaria curata da Gavino Sanna. Nel 2006 ha ricevuto una laurea honoris causa in Comunicazione e presto ha cominciato ad espandersi all’estero, aprendo uno stabilimento a Chicago e un ristorante a New York.

Quando Rana disse no a Barilla

Un aneddoto rivela l’amore di Giovanni Rana per la sua azienda. Invitato da Pietro Barilla a casa sua, rifiutò l’offerta di cedere i suoi tortellini al colosso di Parma. Osservando un quadro appeso alla parete del salotto di Pietro, una tela di Guttuso raffigurante un cavallo, Giovanni gli domandò: “Perché lei non vende quest’opera ad una multinazionale?” “Ci sono troppo affezionato” rispose Barilla. E Rana, prontissimo, replicò: “Lei ha un cavallo. Mio figlio ed io abbiamo un asinello, ma ci divertiamo tanto!”.

Giovanni Rana con il suo primo mezzo per le consegne

Fiat ha una storia ultracentenaria. Nata nel 1899 a Torino, oggi è un marchio di Fca Italy, a sua volta parte del gruppo industriale Fiat Chrysler Automobiles. Ricca e famosa, Fiat non rientra tra le 50 aziende più antiche del mondo ancora in attività. In questa graduatoria figurano imprese nate, addirittura, nell’ottavo secolo dopo Cristo! Alcune di queste veterane non hanno il potere economico delle grandi multinazionali del terzo millennio, ma sono state in grado di superare guerre, crisi economiche, stravolgimenti epocali.

Imprenditori si diventa

Imprenditori, dunque, non si nasce, nemmeno quando la famiglia d’origine possiede un’impresa. Semmai si diventa, con fatica e sacrificio. Ma quando ci si vuole bene si lavora meglio. Lo sanno le donne che nelle aziende familiari svolgono un compito fondamentale, quello di tenere uniti i rami del grande albero genealogico. Figlie, mogli, sorelle e nuore sono importantissime, eppure raramente vengono premiate. In Italia nelle aziende familiari soltanto il 5 per cento dei presidenti è donna, a differenza di quanto accade negli altri stati europei dove la media è del 20 per cento. Se fare impresa è dare vita, questo neo deve essere estirpato.  

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