Social media e Pubblica Amministrazione: a che punto siamo

PA Social

Quale migliore occasione del recente PA Social Day per affrontare un tema cruciale come il rapporto fra Social Media e Pubblica Amministrazione?

Il PA Social Day del 18 Giugno ha coinvolto ben 18 città italiane, unite dalla volontà di confrontarsi sull’uso professionale dei social network nella pubblica amministrazione.

Durante le discussioni è emerso in modo chiaro che i social media sono ormai il mezzo di comunicazione principe per informare i cittadini.

Secondo il report annuale di We Are Social, 35 milioni di italiani – il 60% della popolazione totale – dispongono almeno di un profilo social attivo. L’uso quotidiano di Facebook&co. ammonterebbe a circa un’ora e 51 minuti a persona.

Numeri che chiamano a gran voce la presenza delle Pubbliche Amministrazioni sulle principali piattaforme social. Sarebbe davvero anacronistico per la PA pensare di non dover presenziare il canale di relazione più praticato dai suoi utenti per eccellenza, i cittadini. Ma con quale approccio?

Social Media e PA: cosa dice la Legge

I social sono il terreno della disintermediazione, un altro mondo rispetto ai classici vizi di comunicazione delle PA italiane: eccessiva formalità, ricorso al burocratese e autoreferenzialità. Al momento però non esiste una Legge sulla Comunicazione Istituzionale riferita esplicitamente all’universo social.

La Legge attualmente in vigore risale al 2000. La “Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” – Legge 150/2000 – considera la rete come l’ancella minore del panorama mediatico.

Google all’epoca emetteva i suoi primi vagiti. Qualche blog italiano faceva la sua timida comparsa fra i preferiti dei primi abbonati della rete. Facebook? Twitter? Neppure l’ombra.

Eppure è sufficiente un’attenta lettura della Legge per trovare spunti utili su come trattare i social network nella Comunicazione Istituzionale. Gli articoli che definiscono il raggio d’azione degli Uffici Relazione con il Pubblico contengono tracce di disintermediazione che, al di là del terreno d’azione – analogico o digitale, virtuale o in carne e ossa – possono tornare utili anche sui social:

  • agevolare l’utilizzazione dei servizi offerti ai cittadini, anche attraverso l’illustrazione delle disposizioni normative e amministrative, e l’informazione sulle strutture e sui compiti delle amministrazioni medesime.
  • promuovere l’adozione di sistemi di interconnessione telematica e coordinare le reti civiche.
  • garantire la reciproca informazione fra l’ufficio per le relazioni con il pubblico e le altre strutture operanti nell’amministrazione, nonché fra gli uffici per le relazioni con il pubblico delle varie amministrazioni.

Una Legge del 2000 quindi offre degli ottimi spunti sugli obiettivi che le PA devono perseguire sui social: semplificare il linguaggio amministrativo e connettere persone e strutture organizzative.

L’esperienza di PA Social

Laddove i tempi per l’approvazione di una nuova Legge sulla Comunicazione Istituzionale sono lenti, subentrano l’entusiasmo e il coraggio di sperimentare.

La crescente influenza dei canali social in tutti i settori della vita pubblica e la necessità di valorizzare le professionalità della comunicazione digitale hanno mobilitato nel 2015 comunicatori, uffici stampa e Social media manager del Governo per dare nuovo impulso all’intero settore.

PA Social è la prima associazione italiana in grado di sensibilizzare enti, istituzioni e aziende private sul ruolo fondamentale della comunicazione digitale e dei professionisti del web.

Sottolinea già nel suo statuto il ruolo cruciale dei social come strumento di promozione di democrazia, trasparenza e inclusività. Lavora affinché i ruoli della comunicazione digitale nella PA – a partire dal Social Media Manager – siano riconosciuti e codificati in una nuova Legge dello Stato in grado di definire gli aspetti strategici e operativi.

Social Media e PA: l’esperienza del Comune di Milano

In attesa di una nuova Legge sulla Comunicazione Istituzionale, la Pubblica Amministrazione non può restare a guardare. Gli Enti che hanno deciso di scendere nell’arena dei Social Network si sono dotate di workflow redazionali, collaborazioni esterne e strumenti per gestire profili e flussi di lavoro.

Il Comune di Milano è un ottimo caso studio. Mostra le potenzialità dei social all’interno di una strategia di comunicazione istituzionale: linguaggio vicino ai cittadini, tempestività e multimedialità. I social non diventano un ulteriore spazio su cui riversare i comunicati stampa o le determinazioni della Giunta ma assolvono perfettamente al loro ruolo di disintermediazione. Le notizie vengono trattate secondo gli stilemi in uso sui social: più spazio per foto e video, testi brevi, rimandi ai siti istituzionali, uso delle emoticon per dare enfasi ai contenuti.

L’organizzazione del team redazionale gioca un ruolo fondamentale. I canali social sono presidiati da una redazione social che ha un duplice compito: produrre contenuti di interesse generale in grado di vivere i social e smistare le richieste che pervengono dai cittadini – via commenti o messaggi privati – agli uffici competenti.

I contenuti ordinari, come la pubblicazione e la moderazione vengono gestiti autonomamente dalla redazione. Nei casi più delicati invece – temi sensibili o gestione della crisi – le risposte vengono concordate con la segreteria dell’ufficio stampa.

Social Media e PA: l’importanza della Social Media Policy

La Social Media Policy è uno strumento utile per ridurre il margine di rischio – e improvvisazione – sui Social Network.

La social media policy come documento strategico

La Social Media Policy è un documento strategico con cui la Pubblica Amministrazione individua:

  • cosa pubblica. Quale tipo di contenuto veicolare sui Social Network? Come abbiamo visto, un uso razionale dei social nelle PA li vede come estensione digitale degli URP. Nella redazione del piano editoriale, il Social media manager pubblico deve quindi pensare alle domande cittadino: presentare un servizio, illustrare la partecipazione a bandi, fornire informazioni di pubblica utilità.
  • come lo pubblica. Quali formati e, soprattutto, quale linguaggio? I social media sono i canali della disintermediazione. Le PA devono sforzarsi nella produzione di contenuti in grado di vivere i social con naturalezza: niente copia e incolla di comunicati stampa ma foto e infografiche; ricorso al video, quando possibile; un linguaggio semplice e asciutto, senza fronzoli o arcaismi. Quanto funzionerebbero post con incipit “Premesso che”?
  • come rispondono alle richieste dei cittadini. Social vuol dire interazione. Pensare di essere sui social senza affrontare commenti (leciti) o messaggi privati con richieste di informazioni renderebbe completamente inutile la presenza della PA su Facebook&Co. Occorre dotarsi di un workflow e di una organizzazione interna che non lasci il responsabile dei canali social nella solitudine ma che gli permetta di instradare le richieste delle persone a uffici, sportelli e dipartimenti.
  • come gestire le «situazioni difficili». I commenti ostili sono forse la principale causa dell’idiosincrasia della PA per i social. Le shit storm fanno paura a tutti e le istituzioni tendenzialmente preferiscono non rischiare bacheche colme di insulti e ingiurie contro il politico o l’amministrazione di turno. In realtà basta premunirsi. Una Social Media Policy ben scritta – per esempio, quella di Regione Lombardia – regola minuziosamente le regole di relazione fra canali e persone. Stabilisce gli oggetti delle conversazioni e i temi da considerare off topic. Arriva a elencare i casi in cui i commenti sono oggetto di rimozione e, extrema ratio, motiva il ban degli utenti più recidivi.

La Social media policy come documento operativo a “uso interno”

La Social Media Policy è quindi uno strumento operativo di tutela verso l’esterno e verso l’interno.

Perchè i dipendenti di una PA sono parte integrante della macchina amministrativa. Quindi per preservare l’integrità e la reputazione di una Pubblica Amministrazione è necessario in qualche modo “normare” l’uso privato dei social dei dipendenti.

Ma la policy può contenere anche indicazioni, esempi e buone norme per aiutare i funzionari pubblici ad avere sempre un tono in linea con la PA stessa, senza commettere errori dannosi.

Possiamo considerarlo a tutti gli effetti un codice di comportamento condiviso tra tutti i dipendenti per coinvolgerli attivamente nella vita digitale della PA!

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