World Wide Web, i suoi primi trent’anni

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Il 12 marzo 1989 lo scienziato Tim Berners-Lee ha sviluppato al Cern di Ginevra il protocollo http:// e ha gettato le basi per la creazione del World Wide Web così come lo conosciamo oggi. In altre parole ha definito l’attuale struttura di Internet, la connessione tra tutti i computer del mondo, la rete delle reti digitali, la quarta rivoluzione industriale.

Sì perché Internet è nato come condivisione di ipertesti nella comunità scientifica ma si è rapidamente diffuso come il più completo strumento di scambio di informazioni tra utenti. Oggi è diventato parte insostituibile della vita di miliardi di persone e non possiamo più farne a meno: per lavorare, per studiare, per una ricetta, per ascoltare musica, per prenotare un viaggio dall’altra parte del mondo o più semplicemente per curiosare nella vita degli altri.

Come siamo arrivati a questo?

Se volete fare un viaggio nel tempo non occorre inventare complicate auto e rivolgersi a scienziati pazzi. Cliccate qui (https://worldwideweb.cern.ch) e sarete trasportati nel 1989, quando, per darvi una prospettiva storica stava crollando il muro di Berlino e in Italia ci si stava preparando a organizzare i mondiali di calcio dell’anno successivo.

Il CERN ha infatti messo in rete una pagina che simula le prime navigazioni in Internet e dove è possibile curiosare tra le strutture del codice con cui era stato creato il World Wide Web. Per aprire i collegamenti presenti all’interno delle pagine dovete cliccare due volte. Gli indirizzi url possono essere digitati nella barra di ricerca situata nel menu Document. Da là si accede al comando Open from full document reference. Una volta apparsa la barra di stato sarà possibile digitare “http://” e l’indirizzo desiderato internet.

Internet 1989

Esempio della pagina internet del 1989

Ma non solo. Sempre dalle pagine del simulatore del CERN è anche possibile imparare la storia di Internet indietro fino agli albori, a ritroso nel tempo fino ai primi esperimenti di invio informazioni del 1959. Quando infatti venne ipotizzata la prima rete tra computer. Qui il salto temporale è ancora più impressionante, siamo infatti nel 1958, anno della rivoluzione comunista a Cuba, della rivolta dell’Algeria alla Francia di De Gaulle, e in Italia c’era al governo Amintore Fanfani mentre Domenico Modugno trionfava a Sanremo con “Nel blu dipinto di blu”.

Oltreoceano il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti si stava riorganizzando per tenere il passo con le novità tecnologiche dell’Unione Sovietica, che aveva da poco lanciato nello spazio il primo satellite, lo Sputnik. Negli USA venne creata la NASA per i programmi spaziali e l’ARPA (Advanced Research Projects Agency) assunse il controllo di tutte le ricerche in campo militare.

Ma i diversi computer dell’organizzazione erano dislocati in sede lontane, rendendo inefficiente qualsiasi tipo di ricerca. Era soprattutto impossibile scambiarsi i file tra diverse sedi, per via dei diversi formati di archiviazione.

Lo and Behold

pc anni 60

Esempio di PC degli anni 60

Verso il 1965 la situazione divenne insostenibile e per questo Robert Taylor, allora direttore della divisione informatica dell’ARPA, affrontò il problema in modo radicale. Nel 1966 parlò con Charlie Hertzfeld, allora direttore dell’ARPA, e ottenne uno stanziamento di un milione di dollari per il progetto ARPANET. ARPANET venne pianificato e realizzato dall’IPTO (Information Processing Techniques Office). Questo dipartimento fu gestito in principio da Joseph Licklider, psicologo prima, e poi scienziato informatico al MIT di Boston.

ARPANET sarebbe servita a permettere a diversi gruppi di elaborazione dati e di ricerca di utilizzare lo stesso computer, pur essendo in località diverse. La rivoluzione ebbe inizio, grazie alla novità assoluta della commutazione di pacchetto (packet switching), sviluppata da Paul Baran, ingegnere polacco naturalizzato statunitense.

La prima comunicazione tra due computer avvenne nell’ottobre del 1969, quando due team, uno all’istituto UCLA di Los Angeles e l’altro al CNR di Stanford, hanno cercato di scambiarsi la parola LOGIN. I due team erano in collegamento telefonico e la procedura andò per il verso giusto soltanto per le prime due lettere “LO”.

Un evento quasi profetico: infatti in inglese l’espressione “lo and behold” è utilizzata per sottolineare un evento sorprendente ed inaspettato, come lo era stato il buon esito della connessione.

Leonard Kleinrock

Leonard Kleinrock, lo scienziato americano protagonista della prima comunicazione IMP

A cosa serve internet

Tornando agli anni 90 possiamo dire che il World Wide Web ha compiuto la sua definitiva mutazione verso l’universale – dagli istituti di ricerca ai pc di ogni casa – quando è stato possibile per tutti percepirne l’utilità.

Questo passaggio cruciale è avvenuto grazie ai motori di ricerca.

YAHOO è stato a lungo il centro nodale di internet, la pagina che tutti aprivano per iniziare a navigare. Era una moderna biblioteca virtuale dove una redazione umana visitava i siti web e li classificava a mano inserendoli in categorie.

Esempio per chi non c’era: per cercare il sito di un’azienda che produceva lavatrici dovevi cliccare su una sequenza di link tipo: business, aziende, elettrodomestici, lavatrici. Poi c’è stato il passaggio notevole ad ALTAVISTA, primo vero motore di ricerca del web, dove le logiche erano però simili alla pubblicità televisiva: più pagavi e più eri visto.

Ma la rivoluzione definitiva avvenne con il page rank di GOOGLE, che permetteva ai navigatori di muoversi con maggiore efficacia, favorendo l’incontro tra la ricerca e i contenuti giusti.

Così inizia quella che Ted Striphas ha definito nel suo “The Late Age of Print” la cultura degli algoritmi. Cioè l’insieme di quei programmi complessi che elaborano calcoli complessi e ci consentono di organizzare la quantità enorme di informazioni disponibili per farci ottenere, nel più rapido tempo possibile, proprio quello che stavamo cercando.

La cultura degli algoritmi

Altavista

Home Page di Altavista

Grazie agli algoritmi, tutti noi abbiamo potuto apprezzare Internet iniziando a condividere e cercare informazioni.

Con il progredire della potenza dei motori di calcolo, gli algoritmi sono poi diventati in grado di individuare quantità infinita di matching: dall’Ateneo che imposta le camere dei futuri studenti in base alla loro compatibilità, ad Amazon che consiglia quale libro leggere in base a quelli acquistati in precedenza.

Nella storia di Internet abbiamo assistito a una vera e propria guerra tra uomo e macchina, nello specifico a mezzi umani per ingannare gli algoritmi, come ad esempio inserire in blocchi ricorrenti le parole chiave di ricerca nei vari siti per scalare le classifiche (fino all’artificio dei blocchi scritti in bianco su pagina bianca, per non farsi identificare e punire dal rank), o costruire crawler per simulare visitatori e scalare la classifica di Google con un traffico fittizio.

Niente di diverso da quel che accade oggi sui social con la compravendita di falsi follower su Instangram, per esempio. A queste e altre mosse, gli algoritmi sono diventati sempre più performanti e anche capaci di superare gli inganni umani.

Ma la centralità raggiunta da questi sistemi di calcolo ha portato a una “democratica dittatura dell’algoritmo”, dove sistemi informatici decidono con oggettività discutibile chi è visibile e chi no, quali idee possono essere ampiamente condivise e quali meno, in definitiva: quali debbano essere i temi in prima pagina, e quali no.

Il futuro della rete

E’ lo stesso Tim Berners-Lee metterci in guardia sul futuro di internet. Il profondo cambiamento della società non è stato solo positivo: la costante interconnessione degli utenti non è servita solo a velocizzare lo scambio produttivo di informazioni, ma ha contribuito a creare discussioni sempre più violente tra gli utenti (hate speech) visibili a tutti sui social, le piattaforma che hanno di fatto cannibalizzato il traffico e l’attenzione degli utenti connessi in rete.

Lo scambio di informazioni non ha portato solo a raggiungere una conoscenza più approfondita, ma anche l’esatto contrario: l’uso costante di fake news ha portato al formarsi di vera e propria attività di disinformazione, atta a influenzare fenomeni sociali e politici importanti, come le elezioni di alcuni Paesi.

Mentre la costante assenza di privacy ha portato un’intera generazione a non avere a cuore la custodia dei propri dati personali, scambiati e venduti al miglior offerente con il consenso disinformato di milioni e milioni di utenti.

Evgeny Morozov – forse lo studioso che più di tutti ha insistito sul “lato oscuro della rete” – parla diffusamente nei suoi libri dei dati personali come di una merce svenduta sull’altare del profitto. E così per la nostra privacy e in fin dei conti della nostra libertà.

Morozov  arriva fino al paradosso di descrivere il mondo della libertà assoluta (come era stato sognato Internet nel momento della sua “universalizzazione” ) nel sistema che invece più di tutti opprime la libertà tramite il controllo di Stati invadenti, o di gruppi di pressione in grado di orientare le opinioni e gestire miniere di dati per scopi commerciali.

Propone di vedere il mondo della rete nato come massimo esempio della partecipazione di tutti, trasformato nell’impero di pochi grandi “latifondisti digitali” in grado di rendere irrilevante qualsiasi pensiero laterale.

La nostra percentuale di responsabilità

Quel che di sicuro possiamo dire è che il sogno della libertà dell’Internet Universale che Tim Berners-Lee ha regalato al mondo senza guadagnarci un dollaro è diventato – nella migliore delle ipotesi – un mercato globale digitale dominato da grandi player e grandi interessi contrapposti.

Un mondo dove i singoli utenti hanno il dovere di aumentare la loro consapevolezza per mantenere un equilibrio e una quota di libertà nell’ex villaggio globale, ora e sempre più spesso casa d’altri.

Suggerimenti per l’approfondimento

Sito da visitare: https://worldwideweb.cern.ch/

Film da vedere: “Lo and Behold” di Werner Herzog – disponibile su Netflix

Libro da leggere: Evgeny Morozov: i Signori del Silicio

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