Comunicare la diversità: consigli per una strategia di marketing inclusivo

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Campagne pubblicitarie che raffigurano modelle curvy, inneggiando alla body positivity. Spot televisivi che celebrano l’amore tra persone dello stesso sesso e hanno come protagoniste famiglie “non convenzionali”. Brand di moda e del beauty, che scelgono volti e testimonial lontani dai canoni estetici tradizionali, per raffigurare nuovi modelli di bellezza.

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un rapido e significativo cambio di rotta della comunicazione di brand e aziende. Che, spinte dalla crescente sensibilità del pubblico verso i temi della “diversità” e dell’“inclusività”, hanno scelto di promuovere campagne pubblicitarie con l’obiettivo di rompere vecchi stereotipi e raccontare tutti gli aspetti dell’identità di una persona: il colore della pelle, l’età, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, il tipo di corporatura, l’etnia, la cultura, la lingua, la religione.

Questa strategia di comunicazione, che porta con sé tutta un serie di iniziative interne ed esterne all’azienda, va sotto il nome di Marketing inclusivo (Inclusive Marketing).

Il marketing inclusivo: se a parlare sono i dati

L’Inclusive Marketing è, per racchiuderlo in una definizione, lo sviluppo di campagne e progetti di comunicazione che abbracciano la diversità, includendo persone con background diversi o storie a cui tutti possono relazionarsi. Diversità, che possono rappresentare anche più identità e dimensioni che si incontrano, per riconoscerne tutte le sfumature.

Ma perché il marketing inclusivo è oggi così importante? La risposta ci arriva (anche) da due studi. Il primo è quello, condotto e pubblicato da Microsoft, che indaga sulle intenzioni di acquisto della GenZ. E che rivela come il 70% degli intervistati affermi di fidarsi maggiormente dei brand che rappresentano la diversità nei loro annunci, mentre il 49% ammette di aver smesso di acquistare prodotti di aziende che non rispettano i loro valori.

Il secondo è il Diversity Brand Index. Uno strumento, nato con l’obiettivo di misurare il livello di inclusione dei brand in una prospettiva customer based, verificando il reale impegno delle aziende sulla Diversity & Inclusion.

Questo indice ci dice che l’88% dei consumatori è altamente sensibile alle tematiche della diversity ed è maggiormente incline a preferire brand più inclusivi. E che i brand percepiti come non inclusivi registrano un Net Promoter Score (NPS, indicatore del passaparola) negativo pari al -90,9%, a fronte di un 81,2% invece per i brand percepiti come inclusivi.

Numeri, questi, che confermano un trend con cui le aziende sono chiamate a confrontarsi oggi e nel prossimo futuro e che, sempre di più, influenzerà le abitudini di acquisto dei consumatori.

Ma da dove cominciare per improntare una strategia di marketing inclusivo di successo?

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I consigli (e gli errori da non commettere) per una strategia di inclusive marketing di successo

Qui una premessa è d’obbligo: attuare una strategia di marketing inclusivo non deve servire esclusivamente a raggiungere il maggior numero di clienti possibili. Virare verso questa tendenza non può ridursi a un’improvvisazione dettata solo dalla voglia di essere “dalla parte dei giusti” o guidata dal motto “purché se ne parli”.

Il primo passo è, come suggerisce Gabriella Crafa, Vice President & Head of Digital di Diversity Lab, “guardarsi nel modo più oggettivo possibile e comprendere il proprio livello di maturità sulla D&I, i propri valori e le opportunità che si celano dietro i propri gap. Solo da questo si può partire per decidere dove si vuole e si può andare e solo da questo può nascere una strategia efficace di D&I”.

È importante, quindi, conoscere prima di tutto la propria azienda e chiedersi: a quale pubblico posso rivolgermi? Perché scelgo di farlo? Quale messaggio posso trasmettere che sia coerente con i miei valori e il mio operato? Ma soprattutto, so dare il buon esempio?

Da qui, il secondo consiglio: ciò che viene commercializzato e pubblicizzato all’esterno dell’azienda deve riflettere al 100% in modo autentico ciò che avviene all’interno. Se scelgo di farmi portavoce delle istanze della comunità lgbtq+, per esempio, devo allo stesso tempo garantire che dentro l’azienda non vengano promossi comportamenti omofobi o transfobici. E che ci siano politiche friendly che tutelino i dipendenti per il loro orientamento sessuale.

Inoltre, i brand devono includere realmente i diversi target, coinvolgerli, conoscerli, per pensare anche i prodotti in maniera inclusiva. Un esempio è quello che Microsoft ha fatto per lanciare l’Xbox Adaptive Controller. Un joystick che permette a chi soffre di gravi disabilità fisiche di giocare ai videogiochi. Per il prodotto, Microsoft ha coinvolto persone con disabilità dalla fase di sviluppo, all’ideazione del design, al modo in cui il prodotto è stato commercializzato. Il lancio del prodotto è stato poi accompagnato dalla creazione di un hub in cui sono state raccolte le storie di alcune persone con disabilità per le quali è stato pensato il prodotto.

Una strategia di marketing inclusivo si dimostra, quindi, sì come un potente driver di posizionamento con un impatto economico significativo. Ma è fondamentale che le aziende abbiano ben chiaro da dove si parte, dove si vuole arrivare e che tipo di impegno e coerenza comporti questo percorso.

Per approfondire il tema, ecco alcune letture utili:

Valentina Dolciotti, Diversità e inclusione. Dieci dialoghi con Diversity Manager

Debra Ruh, Inclusion Branding: Revealing Secrets to Maximize ROI

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